Riassunto delle altre puntate. Leo insieme a Mario e il Pisano su ordine di Ciro, il capoclan, uccide per errore il figlio del boss Aniello Riccio. Il rifugio da Anna, un'infermiera. La sparatoria e la fuga nella casa al mare. Ma nessun posto sembra sicuro per Leo...
Quinta puntata (leggi anche: prima - seconda - terza - quarta puntata)
di elleti
Mi sono acceso un'altra sigaretta. Anna sta preparando il caffè, sento l'odore e sento i suoi passi morbidi sul pavimento della cucina. Cielo azzurro, non piove da ore. Mi pare quasi che è tornata la pace e non ci sta niente da avere paura. Come se questa notte di merda e sangue fosse stata solo un brutto sogno. E non ho ammazzato per sbaglio il figlio di un boss, il fratello di uno stronzo, e due killer di Ciro. E no, non è vero nemmeno che adesso stanno tutti come bestie, tutti appresso a me. Tutti che mi vogliono fare a pezzi e buttare nella munnezza. Guardie comprese.
Ma non ci sta niente da fare, è tutto vero, quale cazzo di brutto sogno.
Devo prendere la macchina e farla sparire. Troppo facile capire che a rapinarla la scorsa notte è stato lo stesso che ha seccato quelle due chiaviche a casa dell'infermiera. Sono uscito. L'aria fresca e tutta quella luce all'intrasatto mi hanno fatto girare la testa. La macchina l'avevo parcheggiata a qualche chilometro, vicino alla pineta. «Aspetta qua», ho detto ad Anna. «E dove devo andare?». Beh, almeno aveva parlato...
Guardo il mare, come fosse una salvezza.
Squilla il telefono. Cazzo, Ciro. Non so che fare. Vorrei buttare il cellulare a terra e scassarlo a calci. Poi, non so perché, rispondo.
«Ah, pensavo che eri già schiattato». Tiene la voce di uno che non ha dormito.
- Addò stai?
- Perché lo vuoi sapere?
- Perché putimm' apparà tutt' cos'.
- Ciro, mi vonn' tutti muort'. Pure tu.
- Hanno pulizzato Mario e o' Pisano, ho detto che tu non c'azzecchi niente. Dimmi addò stai, ti vengo a pigliare...
- Ti chiamo dopo.
Ho chiuso. Devo pensare. Non ci credo che se ne fottono di me. Sono quello che ha sparato. E pure Ciro tiene buoni motivi per levarmi di mezzo. Queste cose non si apparano. Ho seccato il figlio di Riccio. Quello non si scorda. Ciro mi vuole portare dal boss così spera di sistemare il cazzo suo. Ho preso il telefono è l'ho fatto a pezzi. Non basta stare nascosto, quelli comunque ti trovano. Devo scappare. Mettere un mare tra me e loro. Ho guardato le onde. E l'ho pensato di nuovo. La salvezza.
Ho sollevato lo sguardo. E in quel momento li ho visti. Ho pensato ad Anna, sola nella casa. Mi sono messo dietro una siepe. Mi sono maledetto. Quel cazzo di telefono mi serviva ancora. Avrei potuto chiamarla, avvisarla. Una pattuglia dei carabinieri e due guardie. Stanno vicino alla macchina e parlano alla radio. Sono tornato indietro, senza farmi vedere. Poi di corsa, fino alla casa. Come un pazzo, col cuore che vuole schizzare dal petto.
- Anna, dobbiamo scappare, stanno le guardie.
- Resto qua.
- Stava tranquilla. Se l'aspettava.
- Leo, li ho chiamati io i carabinieri, appena sei uscito. Gli ho detto della macchina. Non ci vuole molto e vengono pure qua.
- Cazzo...
- Meglio loro che gli altri. Questi ti mettono al gabbio, quelli ti ammazzano.
Teneva torto. Pure in galera ero morto. Ad Aniello Riccio bastava uno starnuto e mi sgozzavano dentro una cella. Forse i carabinieri erano la soluzione per lei. E manco ero così sicuro. Le ho chiesto di darmi il telefono.
E' l'ultimo piacere. Ma non dire a nessuno che lo tengo io.
Ci pensa un po', poi mi passa il cellulare. Gli occhi neri le sono diventati lucidi. Sa bene che non ci vedremo mai più. E che tra non molto sarò lì, sotto due metri di terra con la faccia ridotta a banchetto per vermi. Avrei voluto abbracciarla, chiederle scusa. Ma le parole mi sono rimaste in bocca. Le ho fatto una carezza, lei è rimasta ferma come una statua. Ma non ci vuole assai per capire che tiene l'inferno dentro.
Sono uscito veloce. Nel garage di mio zio ci sta un vecchio motorino, sempre lo stesso. E' partito a culo, ma non so quanta benzina tiene. Non mi sono guardato indietro, non ho pensato ad Anna e ai carabinieri. Ho accelerato. Devo arrivare vicino al porto. C'è Tonino, forse l'unico che non mi canta. Forse. Siamo cresciuti assieme, dentro il quartiere. Lui voleva fare il pescatore. E il pescatore ha fatto. Abbusca poco, ma con quel poco campa la famiglia. «Io non tengo le palle per fare quello che fai tu», mi aveva detto il giorno della prima comunione del figlio. Ma le palle le tiene lui, si è caricato la vita addosso, senza scorciatoie. E senza pistole.
Non sto incazzato con Anna. Però me lo poteva dire che chiamava gli sbirri. Ora una possibilità la tiene di uscire da questo bordello. Lei non c'entra un cazzo. Lo sapete. Nè con l'attentato, né coi morti a casa sua. Mi viene da piangere e non so se è per la notte passata o il vento negli occhi.
Sento l'odore del mare e mi ricordo di quand'ero criaturo. La vita pareva che teneva più colori e l'unica paura era quella del buio. O di papà, quando tornava che aveva bevuto. Che poi, pure se stava ubriaco non ha mai alzato le mani. Nè coi figli, né con mamma. Però alluccava e diceva cattiverie. Ma quella paura era niente. Non era neppure paura. Oro la so cos'è la paura. Sta assettata assieme a me su questo motorino scassato. E non mi lascerà più.