«E' una vita che mi batto per la mobilità dolce, per il viaggio a piedi, in bici, in tutti i modi che non siano quelli di un turismo invasivo, pesante, arrogante. Non è un caso che dei camminatori abbiano aperto la strada a dei ciclisti».
Parte da qui Paolo Rumiz, il giornalista e scrittore triestino che ha affascinato l'Italia nell'estate che sta per concludersi descrivendo su Repubblica gli oltre 600 chilometri percorsi per calcare l'Appia. Il viaggio lungo la Regina Viarum, lo stesso che Quinto Orazio Flacco affrontò nel 37 a. C., è un'esperienza entusiasmante e difficile che si conclude solo qualche giorno prima di quello di un gruppo di ciclisti partiti da Benevento.
E' alle colonne romane del porto di Brindisi che la carovana Fiab di Bicistaffetta 2015, in viaggio da una settimana lungo la via Romea Francigena per provare l'ultimo tratto del percorso di Eurovelo 5 (Londra – Roma e Brindisi), incontra lo scrittore pronto a tornare sui passi appena percorsi per presentare il suo diario di viaggio. E' lì che ciclisti e camminatori si scambiano esperienze e mappe, guardando il mare, meta di un viaggio in cui l'arrivo non è che un punto per ripartire.
Di quel percorso che lo scrittore ha detto “può avere, per l'Italia, le stesse potenzialità che il Cammino di Santiago de Compostela ha per la Spagna”, ci regala qualche riflessione.
«E' una strada che si presta perfettamente al turismo in bicicletta (ndr rispetto a quello a piedi) perché ci sono aree molto lunghe e prive di servizi, per cui avere la sicurezza di uno spostamento più rapido è importante. Sono spazi che andrebbero affrontati non d'estate, è un tipico viaggio da primavera e autunno. Un viaggio pieno di meraviglie ma anche di tanti ostacoli. Bisogna vivere come i Tuareg e programmare gli spostamenti sulla base delle riserve d'acqua».
E questo viaggio lo insegna. Insegna l'importanza dell'ombra e dell'acqua. «Una delle cose più importanti da fare – prosegue Rumiz - sarebbe costruire una cartografia di questa via tenendo conto dei punti di approvvigionamento d'acqua, che a noi hanno condizionato fortemente il viaggio. Ci hanno anche regalato delle sorprese stupende, ad esempio all'arrivo a Palazzo San Gervasio, completamente disidratati, all'inizio del paese abbiamo trovato una magnifica fontana con sei seni di donna in pietra che facevano uscire questa meraviglia di cui ci siamo riempiti, stando addirittura con i piedi dentro l'acqua».
Un viaggio lungo e ricco di scoperte quello Rumiz. «Una grande traversata. Abbiamo preso le misure dell'Italia: 611 chilometri nella parte meno conosciuta del Sud. E una delle cose più interessanti dell'Appia è proprio questa: passa zone che non sono turistiche. Perché il casertano, il beneventano, l'avellinese, e la zona da Melfi a Taranto sono poco battute, per cui si ha la garanzia di non avere le masse turistiche ma anche lo svantaggio di non avere appoggi. Credo che appena comincerà a circolar voce che questa è una strada che si può fare avranno la capacità di adeguarsi rapidamente. L'importante è spiegare a queste persone che l'archeologia è una risorsa non un intralcio alle loro operazioni edilizie, talvolta truffaldine, che vengono anche favorite da certi sindaci. Loro hanno tutto l'interesse a mostrare il patrimonio che hanno e a recuperare la bellezza di questa linea che è veramente unica al mondo. Perché partire a piedi da Roma e arrivare fino all'Adriatico passando per lo Ionio, tra l'altro l'Appia è l'unica strada delle grandi vie romane che tocca tre mari, è davvero qualcosa di speciale».
Mariateresa De Lucia