Storia di Federica e Martina: "Autismo, c’è una vita prima e dopo la diagnosi"

Dai comportamenti indecifrabili al responso che cambia quotidianità e progetti di tutta la famiglia

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Si ringrazia la famiglia Saporito per l’autorizzazione alla pubblicazione della foto

Avellino.  

Il nostro viaggio nell'autismo prosegue con la seconda tappa. Con l'aiuto di Federica Saporito, mamma di Martina, di 8 anni, ci siamo inizialmente soffermati sul racconto di una giornata tipo. Nella nostra chiacchierata abbiamo, però, parlato anche di come Federica e suo marito Francesco hanno capito che Martina fosse autistica.

“Nella nostra famiglia non c'è mai stato un prima e un dopo l'autismo, piuttosto un prima e un dopo la diagnosi. Spesso si sente parlare di regressioni improvvise, di bambini che crescevano “nella norma” prima che emergessero delle le differenze con i coetanei. Per me, per noi, non è stato proprio così. Non immaginavo che mia figlia fosse autistica, ma ho sempre pensato che qualcosa non andasse, che soffrisse di qualche disturbo. Martina piangeva fino a 12 ore al giorno. Non dormiva, non mangiava, non la capivo. Non ti aspetti che una neonata ti parli, ma io sentivo di non riuscire a comprendere cosa non andasse, che non eravamo sincronizzate. Crescendo voleva stare solo con me, solo in braccia a me; non sopportava i luoghi chiusi, le persone, il contatto fisico. Era impossibile farle una foto, tenerla seduta al ristorante o invitare amici a casa per trascorrere del tempo insieme. Eppure sono sempre andata dal pediatra, anche da più di un pediatra. Mi rassicuravano sul fatto che potessero essere delle manifestazioni di insofferenza legate allo spuntare dei dentini, a dei mal di pancia; che il fatto che non dormisse o non avesse appetito potesse essere tutto sommato normale. C'è anche chi ha pensato che essendo una mamma giovane il problema potessi essere io, che non fossi pronta...”

E la vita di Martina proseguiva, nonostante tutto, prima a un momento in cui Federica ha capito che c'era qualcosa che davvero non andava: “Afferrava gli oggetti, li passava da una mano all'altra, camminava già a 10 mesi. Insomma, c'era comunque qualcosa che facesse sperare o pensare che fosse tutto nella norma. L'autismo non capitan come un incidente stradale, in un orario preciso e in un luogo specifico, ma c'è stato un episodio che porto impresso nella mia memoria. Martina era in cortile con un amichetto, io continuavo a chiamarla ma lei non mi sentiva: non si girava, non esistevo io, non esisteva l'amichetto. Da allora ho insistito fino a quando ho trovato un pediatra che mi ha consigliato una visita neuropsichiatrica. Il resto è venuto da sé. Dopo neanche due mesi le hanno diagnosticato un autismo di livello 2/3 con rischio severo-moderato”.

Un'esperienza, sperimentata, suo malgrado, sulla propria pelle, che ha lasciato in Federica una consapevolezza: “Sarebbe opportuno che i pediatri si specializzassero e che al compimento di un anno si rendesse obbligatoria e gratuita la visita di un neuropsichiatra. Non si tratta di creare allarmismi. Dico solo, che la diagnosi precoce resta il primo passo indispensabile per il trattamento dell'autismo. Martina aveva 17 mesi. A 18 abbiamo già iniziato le terapie”.

L'inizio di un percorso che cambia la vita. E non per mera retorica: “La diagnosi di autismo è devastante, innanzitutto perché ti pone di fronte alla necessità di recuperare informazioni. Non sapere precisamente cosa fare, come evolve, ti dà la sensazione di sentire la terra che ti viene a mancare sotto i piedi. Psicologicamente è devastante. Come tutti hai dei progetti, immagini di lavorare, di iscrivere tuo figlio all'asilo; che quando crescerà avrai una certa stabilità. Invece, all'improvviso, non sai più quello che ti aspetta, quello che è giusto fare. Nessun genitore nasce istruito su come crescere suo figlio, figuriamoci un genitore che ha viene a sapere che suo figlio è autistico. Ho rinunciato al lavoro della mia vita, quello che mi ero guadagnata con il tempo perché ho capito di avere una figlia disabile. Martina aveva bisogno di me e io avevo bisogno di imparare”.

Una rivoluzione totale: “Mi sono trasferita, ho cambiato città perché avevo bisogno che mia figlia riconoscesse i nonni. L'idea che con il tempo ci saremmo allontanati mi logorava. Da quel momento sia io, sia mio marito abbiamo iniziato a dedicare ogni minuto a Martina. Niente palestra, aperitivo, chiacchierare con un amica o un amico; uscire, andare al cinema, finanche guardare la tv la sera: Martina è diventata la nostra priorità assoluta e contava solo aiutarla a comunicare; a farsi capire e a farci capire”

La chiave si chiama terapia ABA: “È indispensabile e ci ha aiutato tantissimo. I terapisti ti indicano come comportarti, come eventualmente anticipare una crisi e come gestirla per fare in modo che diminuisca di intensità e di frequenza; come premiarla, come insegnarle a svolgere una qualsiasi attività. Tutto deve essere insegnato. Per capire di cosa parliamo, posso dire che ci abbiamo messo 5 mesi per insegnarle ad aprire la zip dell'astuccio, un'attività che un normotipico acquisisce per imitazione, spontaneamente”

Il futuro è il presente anche perché pensare al futuro genera un senso di vuoto e di angoscia enorme: “La tua vita cambia perché sai che tuo figlio crescerà, ma tu non avrai le forze per aiutarlo sempre. Ogni sacrificio che facciamo quotidianamente lo affrontiamo ormai con consapevolezza e tenacia, senza farci sopraffare dalla tristezza. La vera incognita è il futuro e lo se dovessi descriverlo lo farei paragonandolo al nero assoluto”.