Finestre serrate, quel fumo ci avvelena: i sindaci dove sono?

Avellino, la rabbia dei residenti chiusi in casa. Roghi e nubi tossiche, nessuno interviene.

Ogni estate tornano gli "abbruciamenti", roghi agricoli che spesso nascondono la combustione di rifiuti tossici. Le istituzioni territoriali non raramente chiudono un occhio e i cittadini sono esasperati.

Avellino.  

 

di Andrea Fantucchio 

«Fumo acre che entra dalle finestre a tutte le ore. Roghi continui, ci stanno intossicando». Denunce simili arrivano da giorni in redazione. In particolar modo da San Tommaso, Contrada Chaira, Bellizzi Irpino, zona Cretazzo.

I residenti ci hanno inviato diverse fotografie, come quella in copertina, che mostrano gigantesche colonne di fumo, procurate dalla bruciatura di residui di potature e lavori di agricoltura, visibili a chilometri di distanza, che ricoprono le aree circostanti con emissioni fumose maleodoranti che spesso si trattengono per giorni e impregnano vestiti e mobili, costringendo i cittadini a tenere porte e finestre serrate nonostante l'afa.

Non un fenomeno esclusivo di questa stagione estiva.

La piaga degli abbruciamenti ritorna infatti ogni estate: roghi agricoli che si susseguono a tutte le ore, spesso senza interruzione. Non è raro che oltre a residui vegetali, si brucino anche plastiche e altri tipi di rifiuti tossici, la cui combustione è nociva per la salute dell'uomo e del territorio.

La legge in materia è piuttosto stringente, sopratutto dopo l'istituzione di quello che è stato ribattezzato, “il decreto Terra dei Fuochi”, che ha introdotto nel codice ambientale il nuovo reato di “Combustione illecita di rifiuti”. Legge che punisce con sanzioni da,“Due a cinque anni chiunque appicchi il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata in aree non autorizzate”.

Per la combustione di rifiuti vegetali “urbani”, provenienti da campi, giardini, aree verdi e cimiteri, la punizione è rappresentata da una sanzione economica.

Ma allora, se le leggi esistono, perché ogni estate ritorna ciclicamente il problema degli abbruciamenti e, molto spesso, non viene punito?

Beh, è sempre una questione di legge.

La scappatoia per gli autori dei roghi è rappresentata dalle disposizioni regionali o comunali che spesso entrano in contrasto con quelle nazionali generando non poche polemiche. Sopratutto per chi il fumo degli abbruciamenti è costretto a subirlo. Senza considerare tutte le volte che questi roghi, a causa del vento, si trasformano in incendi.

Vi facciamo qualche esempio di disposizione territoriale rivolta alla regolamentazione dei “falò agricoli”, «Le attività devono essere effettuate sul luogo di produzione, ad adeguata distanza da edifici di terzi, in cumuli di dimensione limitata, avendo cura di isolare l’intera zona da bruciare tramite una fascia libera da residui vegetali e di limitare l’altezza e il fronte dell’abbruciamento».

Inoltre la pratica è consentita, «Nelle giornate di assenza di forte vento, assicurando fino alla completa estinzione di focolai e braci, costante vigilanza da parte del produttore o del conduttore del fondo». E chi brucia deve assicurarsi di «recuperare la cenere per la distribuzione sul terreno a fini nutritivi».

Queste norme vengono trasgredite senza che le istituzioni riescano a porre un freno. Anzi, spesso, i primi cittadini che dovrebbero essere i massimi garanti della salute di un territorio e di chi lo abita, decidono di “chiudere un occhio”, violando la legge in materia.

Perché se il decreto legislativo che regola la combustione dei rifiuti agricoli ( DL 91/2014 ART.14 COMMA 8) ne consente, “la bruciatura di piccoli cumuli in quantità giornaliere non superiori a tre metri steri per per ettaro nelle aree, periodi e orari individuati con apposita ordinanza del Sindaco competente per territorio”, è anche vero che la stessa normativa vieta tassativamente la combustione, “Nei periodi di massimo rischio per gli incendi boschivi”.

Negli ultimi tre anni il periodo scelto per questi divieti va da inizio luglio fino a settembre: mesi che coincidono coi picchi di calore. Aggiungeteci che quella che stiamo vivendo è una delle estati più calde degli ultimi anni e sarà chiaro il rischio che questi roghi rappresentano.

Ma non è solo una questione di leggi. Come indicato qualche tempo fa da Angelo Ferrillo, fondatore del blog di riferimento “La terra dei Fuochi”, la spending review ha impoverito la dotazione dalle forze dell’ordine per far fronte a fenomeni come i roghi agricoli. Non fa eccezione il corpo dei vigili del fuoco alle prese con carenze di organico, inutilmente denunciate dai sindacati da oltre un anno. Questa situazione spesso si traduce in mancati interventi nonostante le richieste d'aiuto lanciate dai cittadini. Un'evidenza che oltre a lasciare campo libero agli“abbruciatori cronici” falsa anche la statistica sui roghi purtroppo molto diffusi nel periodo estivo. 

Casi quotidiani anche in Irpinia. Dove, se non ci trova a fronteggiare "abbruciamenti" illegali di rifiuti tossici con la stessa frequenza di altre realtà come tanti comuni del casertano, dove lo smaltimento è spesso in mano a realtà in odore di camorra, bisogna comunque sovente fare i conti col fenomeno dei roghi vegetali che spesso nascondono la combustione di immondizia nociva come le plastiche industriali.

La soluzione ovviamente non può prescindere dalle istituzioni locali che dovrebbero far fronte comune per contrastare questi fenomeni. Ma troppo spesso le amicizie personali, i vantaggi elettorali in gioco quando gli autori dei roghi sono realtà produttive importanti a livello occupazionale per il territorio, o persino il timore di ritorsioni (parliamo spesso di piccoli contesti dove ci si conosce tutti personalmente), impedisce di agire con decisione per contrastare il fenomeno.

E chi paga le conseguenze sono sempre i cittadini: a essere a rischio è la loro salute.