di Luciano Trapanese
Si chiama sindrome Italia, un male silenzioso che uccide le immigrate. O – per essere precisi – le badanti e le baby sitter. In particolare rumene e ucraine. Lacerate da una scelta drammatica: si occupano dei bimbi degli altri, mentre i loro figli sono lontani. In un'altra nazione. Hanno con loro solo un contatto, la sera, tramite Skype.
L'ultimo caso a Frigento, ieri. Una 47 polacca è stata trovata ai piedi di un albero. Si è impiccata. Era conosciuta e stimata. Una gran lavoratrice, dicono in paese. Ma quel male dentro l'ha divorata. Fino a portarla alla morte. Era sparita tre giorni fa. Nessuno si era allarmato. Hanno pensato: è tornata a casa. Non era così.
Non è l'unico caso, naturalmente. In Italia ne sono stati segnalati decine negli anni.
Ad Ariano lo scorso anno è morta Kataryna Elzbieta Corka, 45 anni. E' stata trovata cadavere in una vallata, in Contrada Tesoro. Era il nove agosto.
Ad Agerola, in costiera amalfitana, il suicidio di un'altra badante ucraina. Ha ingerito dei farmaci. Viveva da dieci anni in Italia.
C'è anche chi finisce peggio. E' il caso di Galyna Dotsyak, anche lei una badante ucraina. E' stata uccisa a Serino da Gennaro Rodia, un pensionato di 63 anni. Avevano avuto una relazione che lei era decisa a troncare. Ha pagato con la vita. Ma questa è una storia diversa.
La sindrome Italia genera un malessere costante. E molto comune. Che viene spesso sottovalutato o ignorato. E che a volte si manifesta quando le donne dell'Est sono ancora nel nostro Paese, ma più spesso esplode al ritorno a casa.
La loro sindrome (fanno un lavoro logorante e vissuto in solitudine), è molto simile a quella del burn-out, che colpisce chi opera nei servizi sociali. Per loro si aggiunge anche la lontananza dalla famiglia.
Ma c'è di peggio. Quando tornano a casa, le badanti hanno notevoli difficoltà a inserirsi di nuovo nel contesto sociale. Vengono additate come «madri che hanno abbandonato i figli». Anche se tutti sanno che il “sacrificio italiano” aveva un solo motivo: dare proprio ai figli un futuro migliore.
Per l'Associazione donne romene «È una forma di depressione molto profonda e rischiosa che può portare anche al suicidio: colpisce solitamente le donne al ritorno nel loro paese, quando non ritrovano più il loro posto in famiglia».
Ma c'è un altro dramma. Quello degli orfani bianchi. Un altro durissimo prezzo da pagare per l'assistenza dei nostri anziani e dei nostri malati.
Gli orfani bianchi sono i figli delle donne straniere (circa un milione e 600mila ogni anno), che vengono in Italia a lavorare come badanti, colf o baby sitter. Quasi tutte lasciano a casa figli, mariti e genitori anziani. Chi soffre di più questa separazione – facile immaginarlo – sono i bambini. Solo in Romania su 5 milioni di piccoli il 75 per cento ha un genitore che lavora all'estero. E l'ottanta per cento di loro soffre di profonda nostalgia. Le conseguenze sono spesso tragiche. Ogni anno una 40ina di bimbi rumeni si toglie la vita per il distacco lacerante dalla loro mamma.
Un dramma silenzioso. Una sindrome che porta il nome del nostro Paese. E ammettiamolo, molte di loro vengono anche sfruttate e sottopagate. Sei, settecento euro al mese per occuparsi tutto il giorno di anziani molto malati. Un giorno libero a settimana. E una vita cancellata. Con gli affetti lontani. E magari, in quel lontano, ci sono anche bambini, che chiedono – davanti al freddo schermo di un Pc -: «Mamma, quando torni?».