di Luciano Trapanese
Giovanni lo conoscevo da ragazzino. Una vita normale, una famiglia normale. Diploma, fidanzamento. Un lavoro. Il matrimonio.
L'ho perso di vista. Com'è capitato con tanti. Per ritrovarlo molti anni dopo. Per caso, in un bar di Salerno.
Non lo avevo riconosciuto. Poi ho sentito la voce, quel lieve balbettìo. La erre arrotondata. Una gentilezza innata, anche solo per chiedere un caffè.
Aveva i capelli incolti. Vestito alla bell'e meglio. Ci ha messo un po' a riconoscermi. Poi lo ha ammesso: tentava di evitarmi. Non aveva voglia di farsi vedere così. Da me. E da tutti quelli che conosceva.
Giovanni è un barbone. Mangia alla Caritas. Dorme dove capita. A volte a casa del fratello. Di un cugino. Soprattutto d'inverno. Spesso in strada. Nella sua città. «Anche se vorrei andare via, non sopporto di essere visto così, in queste condizioni».
Da quattro anni è a spasso. Letteralmente. Non ha più un lavoro. Non ha più la moglie («era di Lecco, è andata via quando le cose si sono messe male»).
Lavorava in una azienda farmaceutica. Informatore scientifico. «Un buon posto, guadagnavo abbastanza, potevo permettermi una casa, una vacanza. E la possibilità di crescere dei figli». Che non sono arrivati.
Poi l'azienda lo ha licenziato. Riduzione del personale. «E' stato difficile, ho sempre lavorato. Lo sai. Mi sono trovato all'improvviso senza far niente. Lei, mia moglie, non ha mai avuto una vera occupazione. La voleva – così diceva -, ha anche aperto un piccolo negozio. Oggettistica. Ma è andata male, ha chiuso dopo meno di un anno».
«Subito dopo il licenziamento non mi sono scoraggiato. Avevamo dei risparmi, il tfr, la buonuscita. Mi sono detto: forza Giovanni, vedrai che uscirai da questa situazione».
Poi le porte in faccia si sono accumulate. Una dopo l'altra. E' cresciuta la frustrazione. La rabbia. L'amarezza. La paura di non farcela. La situazione in casa è precipitata.
«Il rapporto con mia moglie è diventato ingestibile. Lei un giorno ha fatto le valigie. E' tornata dai suoi. Ora ha una nuova vita. Non ci vediamo, non ci sentiamo. Sparita, come se non fosse mai esistita».
«Mi sono ritrovato solo. I miei sono morti molti anni fa. Ho qualche aiuto da mio fratello, ma non può fare molto: a stento campa la sua famiglia. A volte mi da una mano mio cugino. Ma non posso contare su di loro. Non sempre».
Giovanni non voleva parlare. Non voleva raccontarmi la sua storia. Poi un argine s'è rotto. Ha tirato fuori le parole che non riusciva a pronunciare. Per orgoglio, soprattutto. Del resto era sempre stato orgoglioso. Non avrei mai immaginato di ritrovarlo così. Mi sono ricordato dell'ultima volta che lo avevo incontrato. Voleva andare a Londra, in vacanza.
«Ho provato a fare di tutto. Il cameriere, l'operaio edile, il garzone di qualsiasi cosa. Ma mi hanno sempre pagato poco e niente. A nero. E per cose saltuarie. E' stato allora che ho iniziato a bere. Quando ho visto la mia vita a pezzi. E' svanito tutto in un istante. Ma l'ho capito dopo. L'istante è stata quella lettera di licenziamento. Poche righe per annunciarmi la fine di tutto. Mi sono detto ad alta voce: si chiude una porta si apre un portone. Ma in fondo sapevo che non era così. S'è chiusa una porta e non s'è aperto un bel niente. Sono rimasto fuori».
«Non sono un barbone, perché non mi arrendo. Continuo a cercare a cercare. Ma gli anni passano, inizio a essere stanco. Mangio alle mense quando non guadagno un soldo. Ma non ho mai chiesto la carità, e mai lo farò».
«Vuoi sapere perché non ho mai detto nulla agli amici? A cosa sarebbe servito, a farmi compatire? A far dire a tutti: hai visto che fine ha fatto Giovanni? No, grazie. E poi, ognuno ha la sua vita e i suoi problemi. Mi avrebbero offerto qualche soldo e una pacca sulle spalle. Non mi serve quello. Devo trovare la forza di rialzarmi. Ma senza lavoro è difficile. Poi ho una certa età. Non riesco a fare lavori molto duri. Per quelli scelgono gente giovane. Quando dico che facevo l'informatore farmaceutico c'è chi mi ride in faccia. Chi dice: ti sei rubato le medicine?»
«Ora vado, questa sera ceno da mio fratello. Forse dormo lì. Domani non so. Mi ha fatto piacere vederti. O forse no. Non ricordarti di oggi. Quando pensi a me, pensa al Giovanni che conoscevi. Questo di ora è solo un'ombra che vaga. Magari riesco a rialzarmi, e allora sarà diverso. Ma il tempo passa e io sono stanco».
E' passato qualche anno da quell'incontro. Giovanni non l'ho visto più. Ho contattato tempo dopo suo fratello. Mi ha detto: «E' partito, non so dove sia. Sono molto preoccupato. Ma non ho più notizie. Non voleva più rimanere in questo posto».
Quest'episodio lo avevo conservato nel mio personale cassetto dei ricordi. La tragedia del Mercatone lo ha rievocato. In modo doloroso.
Storie così appartengono a tanti di noi. E tanti di noi – proprio come me -, non hanno saputo o voluto fare qualcosa.
Ci siamo tolti ogni responsabilità con quella parola, “invisibili”. Ma niente è invisibile. E queste persone non hanno fatto nulla di male per restare ai margini. Hanno solo trovato un ostacolo sulla loro strada. E per mille motivi non sono riusciti ad andare avanti. Può capitare a chiunque. Oggi più di prima. E oggi più di prima chi inciampa ha bisogno di una mano. Che può arrivare da tutti noi.